Fin dai tempi della scuola elementare, o addirittura all’asilo, c’era in classe quel bambino particolarmente spocchioso che si credeva migliore degli altri, probabilmente perché in famiglia lo avevano educato così.
Mentre prima dell’avvento dei social la spocchia di queste persone, ormai adulte, aveva risonanza solo all’interno di un circolo ristretto, come il bar, la palestra, la scuola, o l’oratorio, adesso con Facebook, Twitter, Instagram e quant’altro, c’è la possibilità di dare parola proprio a tutti.
Umberto Eco disapproverebbe, lo so. Io invece sono per la democrazia e penso sia giusto dare diritto di parola anche a chi si crede superiore agli altri in virtù di discutibili meriti (a volte l’unico è essere bravi a raccattare “like”).
Penso che questo gran chiasso prodotto dai vari “tronisti” del web sia tollerabile (a mali estremi c’è il pulsante “non seguire più”) perché confido nell’esistenza di una minoranza di persone che ha la capacità di saper vedere oltre l’immagine costruita ad arte su un social, ed utilizza questi mezzi per comunicare realmente: idee, emozioni, fotografie, storie, racconti, poesie, notizie… E così via.
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